(17.10.09)
Pavia. Gli allevatori riuniti presso un’azienda di Mezzana Bigli, sostenuti dall’associazione RARE, decidono di unificare il nome dell’antica razza bovina dell’appennino ligure-piemontese-lombardo-emiliano e di costituirsi in associazione
La rinascita della ‘Biunda’. Gli allevatori decidono ‘dal basso’ di adottare il vecchio nome della razza e di costituire un’associazione indipendente per promuoverla
Il giorno 17 ottobre presso l’Agriturismo Locanda Erbatici – Azienda Agricola Dr. Federico Radice Fossati di Mezzana Bigli (Pv) gli allevatori della razza bovina Varzese-Ottonese-Tortonese si sono riuniti con l’intenzione di imprimere una svolta nelle attività di tutela e valorizzazione della razza. L’incontro è stato promosso per iniziativa spontanea degli stessi allevatori ed è stato del tutto ‘autogestito’ dagli allevatori dal momento che non vi era nessuna rappresentanza istituzionale o para.istituzionale.
Un primo importante traguardo è stato conseguito decidendo di comune accordo (e non era scontato …) di adottare un nome unico; una condizione indispensabile per ‘comunicare’ la razza e promuoverne le produzioni. Sul nome della razza (tecnicamente andrebbe definita ‘popolazione a limitata diffusione) c’è sempre stata abbastanza confusione. In passato, quando la popolazione contava decine di migliaia di capi, la distinzione in diversi ceppi aveva certamente un senso. L’Ottonese della Val Trebbia (Piacenza), per esempio, era certamente più influenzata dalla Reggiana (di colore rosso) rispetto alla Bionda Tortonese. Da quando la razza è entrata in crisi, però, lo scambio tra i capi presenti nelle diverse provincie è divenuto un imperativo necessario. L’uso delle dosi di seme congelato di 20 tori (raccolto negli anni ’80 nell’ambito del progetto di recupero della razza) ha ulteriormente contribuito a rimescolare le carte e a definire l’attuale popolazione ‘unificata’.
Tutti d’accordo sulla ‘Biunda’
La definizione di ‘Biunda’ risponde anche all’esigenza di rimarcare uno dei tratti distintivi della razza: il mantello color formentino. Non si tratta solo di una preoccupazione formale od estetica. L’utilizzo di riproduttori di razza Rossa Reggiana prima e di razza Limousine poi aveva segnato la perdità di identità della razza, una identità che ora si cerca di recuperare prestando attenzione (anche se non esclusivamente) al mantello ‘chiaro’. Proprio per questa esigenza non è stato ritenuto opportuno utilizzare la denominazione ‘Montana’, che pure rappresenta una di quelle ‘storiche’. Va osservato, tra l’altro, che nell’elenco delle razze italiane a rischio di estinzione stilato dalla Fao figura, a fianco della Varzese-Ottonese una ‘Montana’ … ma è sempre la stessa razza. A completare l’elenco delle denominazioni tuttora citate vanno segnalate quelle di ‘Cabellotta’ e di ‘delle Quattro Provincie’. Decisamente troppo nomi per una sola popolazione.
Non si può quindi che essere d’accordo con gli allevatori che, una volta tanto, hanno deciso da sè come debbano essere chiamati i loro animali (di solito lo fanno i ‘tecnici’ a tavolino). Va anche sottolineato come l’utilizzo della dizione locale (dialettale) rafforza ancora di più il legame con la realtà territoriale. Una fortuna che, in questo caso, non vi siano differenze tra le varie espressioni piemontesi, emiliane, liguri e lombarde.
Superata la fase di emergenza si pensa ai prodotti
Una volta d’accordo sul nome si è convenuto di varare l’Associazione. L’Associazione si occuperà non solo di allevamento e di indirizzi per la conservazione della razza ma anche di valorizzazione dei prodotti. Oggi la fase di emergenza è superata e la popolazione è in netta crescita ed è giusto ed opportuno pensare ad un nuovo ruolo economico per la razza. Ciò sarebbe stato impossibile solo pochi anni fa quando la razza lottava per una sopravvivenza su cui pochi avrebbero scommesso.
Un po’ di storia
Per capire la travagliata storia della ‘Biunda’ negli ultimi 50 anni è necessario ripercorrerne le tappe principali. All’inizio degli anni ’60 la razza contava ancora decine di migliaia di capi. Nella sola provincia di Pavia nel 1958 ne erano censiti 16.850 in migliaia di aziende (nella maggior parte dei casi erano posseduti 2-3 capi). La ‘Biunda’ era una vacca multifunzionale, utilissima nel quadro dell’economia di sussistenza della montagna. Forniva lavoro. I buoi erano molto apprezzati e venivano ‘esportati’ in pianura. In montagna, però, si utilizza la vacca. Era la vacca ad essere aggiogata per i lavori dei campi e, soprattutto, per i trasporti (tipici quelli con le lese – slitte – per le operazioni di esbosco). La stessa vacca forniva il latte che – soddisfatti i fabbisogni dei vitelli – era utilizzato per produrre formaggette (spesso in unione con latte caprino e ovino) e un po’ di burro. La carne era – nell’economia tradizionale – un prodotto secondario, sia pure importante per garantire degli introiti in moneta. La ‘Biunda’ era allevata prevalentemente al pascolo. La conformazione del piede e degli arti, la mole ridotta le consentivano di utilizzare anche pascoli difficili, la sua rusticità di cibarsi anche di arbusti (vedi foto del 1980 a fianco).
Vecchie vacche e vecchi contadini
Con il crollo della civiltà contadina la ‘Biunda’ ha conosciuto un lento declino. Nelle condizioni della montagna appenninica le microaziende contadine non avevano molte possibilità di convertirsi a colture o allevamenti specializzati. Per parecchi anni la ‘Biunda’ è sopravvissuta a sè stessa, vacche molto anziane (vedi la foto di una vacca di 22 anni in produzione tra quelle qui a fianco) continuavano a vivere in simbiosi con altrettanto anziani padroni finchè … entrambi morivano. Nel 1965 la legge sulla riproduzione animale (che vietava l’uso di tori non autorizzati ed iscritti ai Libri Genealogici) pose una prima ipoteca sul futuro della razza. Come per altre razze l’attaccamento dei contadini alle loro vacche bypassò in parte questo vincolo e si continuarono (almeno in parte) ad usare i tori ‘Biundi’. Negli anni ’70 ci si cominciò a preoccupare della situazione di grave pericolo di molte razze locali e venne varato un ‘Piano finalizzato’ del CNR (Difesa delle risorse genetiche delle popolazioni animali’. Nel 1979 venne avviato un censimento in provincia di Pavia. Vennero individuati 600 capi, di cui 243 con spiccate caratteristiche della razza. Tra questi capi ‘più caratteristici’ le bovine con più di 10 anni rappresentavano il 30-40% del totale! Nonostante la ‘scrematura’ l’indagine biometrica mise in evidenza che l’altezza media al garrese era cresciuta notevolmente rispetto alle vecchie misurazioni del 1961. Da 115 cm si era passati a 135. L’influsso della Reggiana era evidente, non solo nell’aumento della taglia ma anche nell’aumento della colorazione del mantello.
I contributi non salvano le razze
In ogni caso per 150 soggetti fu istituito un premio (con l’impegno a fecondarli con il riproduttore indicato dai tecnici del progetto). Furono introdotti anche un premio per ogni nato (maschio o femmina) da riproduttori autorizzati ed uno per il mantenimento delle vitelle. L’aspetto più importante del ‘Piano’ fu rappresentato dallo stoccaggio del materiale spermatico di 20 maschi con buone catratteristiche di razza. Nonostante varie traversie (scongelamenti, perdita del riferimento tra colore delle paillettes e il nome del toro) a tutt’oggi si ricorre ancora a quelle dosi di sperma congelato che si iniziarono a stoccare 30 anni fa. Seguirono studi biometrici, cariotipici ecc. Il programma, però, dopo alcuni anni, subì una interruzione di finanziamenti (che cessarono in Lombardia anche se vi fu una certa prosecuzione in Emilia). Nel frattempo, a fianco di vecchi contadini, erano subentrati nuovi allevatori (compresi alcuni ex-studenti universitari che si erano occupati della ‘Biunda’ nelle loro tesi presso la Facoltà di Agraria di Milano). Negli anni ’80 vi fu sull’Appennino un buono sviluppo dell’allevamento delle vacche nutrici. Utilizzando il pascolo e sistemi di stabulazione e alimentazione invernale ‘economici’ si puntava a migliorare l’approvvigionamento ‘nazionale’ di vitelli allattati sotto la madre e venduti (a sei mesi) agli ingrassatori. La razza di elezione per questa operazione era la francese Limousine. Alcuni allevatori, però, pensarono di utilizzare come fattrice la ‘Biunda’ fecondandola con il toro Limousine e ottenendo un vitello di incrocio. Si riteneva che in questo modo potesse sopravvivere una popolazione ‘Biunda’ in purezza. Ma con il venir meno dei premi le fecondazione delle vacche Biunde con il seme congelato stoccato si fecero sempre più rare. Nel 1991 vennero istituiti i Registri Anagrafici. Si poneva termine – almeno sulla carta – alla condizione di ‘deroghe’ o di ‘monta illegale’ che aveva caratterizzato la situzione delle piccola razze locali dal 1965 in poi. Nel 1992 la Comunità Europea istituiva – nell’ambito delle misure agroambientali (ex reg. 2078)- i premi per l’allevamento delle razze ‘in via di estinzione’. Ma la situazione della ‘Biunda’ si era fatta disperata e queste misure – a parte il ritardo fisiologico nella loro attuazione – arrivarono troppo tardi.
La ripresa
Alla fine degli anni ’90 i capi erano ridotti a poche decine. Poi c’è stata la ripresa. Nel 2006 i capi erano già risaliti a 150 e oggi sono 280. Ciò è avvenuto grazie ad allevatori appassionati, consapevoli del significato di mantenere un patrimonio genetico autoctono, all’attività di promozione dell’associazione RARE (Razze autoctone a rischio di estinzione) cui la maggior parte degli stessi allevatori aderiscono. Un significativo impulso al recupero della ‘Biunda’ è venuto dalla sua diffusione in provincia di Milano (con il convinto impegno della Provincia, che ha incentivato l’ingresso della ‘Biunda’ in Parchi, Oasi WWF e Fattorie Didattiche oltre che in aziende agricole ‘tradizionali’). Alla ripresa dell’interesse nei confronti della ‘Biunda’ hanno contribuito anche le Mostre interprovinciali (siamo alla sestra edizione), i meeting della razza organizzati nell’ambito della Fiera delle Capanne di Marcarolo. Queste iniziative hanno visto il coinvolgimento del Parco delle Capanne di Marcarolo (Al) dell’APA di Pavia e di Alessandria e di Rare (che partecipa da due anni alla Mostra in Val di Nizza). Più che gli interventi finanziari degli enti (che comunque hanno avuto un loro peso) hanno contato i fattori culturali e nuovi orientamenti sociali. La consapevolezza della tutela della biodiversità, la maggior attenzione ai valori rappresentati dalla tradizione e dal patrimonio di cultura alimentare e rurale del territorio, hanno fatto avvicinare nuove domande e nuove offerte.
Sempre più aziende agricole che operano in area montana o in area urbana (e che si devono confrontare con oggettivi svantaggi) hanno compreso che la differenziazione del prodotto, la filiera corta e l’offerta di servizi (culturali, educativi, turistici) diventano condizioni indispensabili di economicità. D’altra parte si è diffusa la figura del consumatore informato e consapevole. Oggi la carne di ‘Biunda’ prodotta negli allevamenti siti nel Parco Sud milanese è spesso aquistata da GAS (gruppi di acquisto solidale) disponibili ad acquistare intere mezzene e a riconoscere un valore aggiunto per una carne di animali appartenenti ad una razza locale allevati in condizioni di allevamento e alimentazioni non industrializzate e ‘spinte’.
L’interesse di cittadini e scolaresche per una razza ‘in via di estinzione’ è un’altra molla che consente di stabilire rapporti con i consumatori aprendo prospettive anche alla produzione casearia di ‘ Biunda’. La ‘Biunda’ viene utilizzata nell’ambito di eventi di ‘agricoltura storica’ per far rivivere il suo ruolo di ‘motore animale’ (e dare una lezione pratica di un’agricoltura ecologica). Sono occasioni che catalizzano interesse e simpatia e ulteriori veicoli di promozione della razza e dei suoi prodotti.
Ostacoli burocratici
Al di là delle buone notizie vanno ancora registrate delle assurdità burocratiche che ostacolano la ripresa della razza. L’applicazione delle norme sulla riproduzione animale – pensate in origine per diffondere le razze produttive e favorire la ‘pulizia etnica’ delle razze locali – sono state adattate solo parzialmente alle ‘popolazioni a limitata diffusione’ mutuando in gran parte l’armamentario sviluppatosi da un secolo a questa parte con i registri delle varie categorie di bestiame (‘allievi’, adulti ecc.), le commissioni tecniche, le punteggiature ecc. A parte i costi e l’onere organizzativo di questo ambaradan è tutto l’insieme delle pratiche culturali sviluppatisi intorno alla ‘selezione’ che mal si adatta alla gestione delle piccole razze. Di fatto l’uso dei tori è ostacolato (sia in monta naturale che artificiale) dalle disposizioni vigenti (basti pensare che i tori, per poter essere utilizzati, devono essere valutati da un ‘esperto’, ma questo -almeno per ora – non esiste. In razze di queste dimensioni la gestione dovrebbe essere lasciata all’autogoverno degli allevatori. Essi hanno necessità di supporto esterno solo per le analisi genetiche e la programmazione di accoppiamenti atti a minimizzare la consanguineità. Quanto agli obiettivi di ‘miglioramento’ della razza gli allevatori sono consapevoli che in questa fase si tratta di puntare in primo luogo all’aumento dei capi allevati (si punta a raggiungere I 500-600 capi in 3.4 anni). Se ‘miglioramento’ e ‘selezione’ devono esserci devono riguardare il recupero del ‘tipo’ tradizionale. Gli allevatori pertanto non si prefiggono nè l’aumento della taglia nè quello della produzione di latte (e tantomeno di carne, in contrasto con il recupero della ‘Biunda’ a triplice attitudine e con l’eliminazione di quei soggetti di tipo ‘carnoso’ ancora presenti a causa degli strascichi dell’incrocio con la razza Limousine). Del resto la ‘Biunda’, quando è nella prima fase di lattazione, è in grado di produrre tranquillamente 20 kg di latte (e in un allevamento multifunzionale va bene così).
Una sfida stimolante
Quanto esposto basta a far comprendere come la neonata Associazione avrà molte attività da seguire ma anche molte stimolanti occasioni per far conoscere e appezzare le vacche ‘Biunde’. Una sfida che potrà essere raccolta perchè all’interno dell’Associazione convergono diverse componenti: gli allevatori professionali (di montagna e di pianura), gli allevatori per passione, i simpatizzanti e sostenitori (privati, associazioni, enti). Ne deriva un mix di stimoli culturali ma anche di capacità imprenditoriali che può risultare vincente una volta fissati con chiarezza gli obiettivi (economici e non). Non va dimenticato in questo quadro l’importanza del ruolo di supporto di un’associazione no profit come Rare e dei diversi enti pubblici che negli anni hanno dimostrato di credere in modo convinto nella ‘ Biunda’ (non succede spesso).
Nel panorama spesso poco dinamico delle razze locali la ‘Biunda’ segna un elemento fortemente innovativo che speriamo possa provocare un effetto di ‘trascinamento’.