

In bocca a... l'orso
di roberto ferrari
Indietro nel tempo, agli albori della domesticazione. Osservando i neonati è possibile ripercorrere i primi istanti della grande avventura del genere umano. Nelle prime ore di vita, nei bambini è ancora presente il “riflesso di presa”, simulando una caduta, infatti, le piccole dita del neonato si contraggono improvvisamente e con tanta forza da lasciare sbalorditi. È un riflesso di quando eravamo piccole scimmie pelose e i cuccioli vivevano aggrappati al pelo della madre. Quando lei si muoveva, il riflesso di presa impediva loro di cadere.
I bambini poi sono curiosi, esplorano, amano il sole, la sicurezza della luce e hanno paura del buio. Per addormentarsi tranquilli, proprio come i piccoli delle antiche scimmie, vogliono stringere qualcosa di caldo, morbido e molto peloso che quasi sempre è un orsacchiotto.
Perché proprio un orsacchiotto?
Anche se l’aspetto può trarre in inganno, l’orso, si sa, non è certo un gran simpaticone e se a volte assume la posizione eretta tipica degli umani, lo fa per minaccia o appena prima di aggredire.
Ma allora perché l’orsacchiotto?
Voglio tentare un’ardita spiegazione. Nel 1997, dagli scavi archeologici del riparo sotto roccia de La Grande Rivoir, nelle Alpi settentrionali francesi, fu rinvenuta la mandibola di un giovane orso bruno (Ursus arctos), che presentava una singolare particolarità. Infatti, su entrambi i lati della mandibola inferiore si nota una deformazione, perché quando era ancora cucciolo, gli fu applicata una cinghia di cuoio che portò tutta la vita. La cinghia, stretta dietro al primo molare, prima che spuntasse il secondo, ne condizionò la nascita in posizione arretrata, provocando la deformazione.
La cinghia gli venne imposta quando aveva circa 6 mesi. Morì che ne aveva pressappoco 6.
È la testimonianza, davvero unica, che alcuni antichi cacciatori-raccoglitori, vissuti circa 6000 anni fa, tennero in cattività un orso. Un orso bruno.
Sicuramente può non esser stato l’unico, né il primo, né l’ultimo. Ma la “novità”, e la notizia di un orso prigioniero, può aver fatto il giro del mondo allora conosciuto e tanti sarebbero accorsi ad ammirarlo. Forse aveva già imparato a sollevarsi in piedi, muovere alcuni passi “scimmiottando” l’andatura umana insieme a qualche altro numero di attrazione, divenendo ben presto una leggenda.
È probabile che da qui prese il via la categoria degli orsanti, e successivamente degli artisti circensi.
Gli orsanti erano domatori ambulanti che intrattenevano il pubblico con le esibizioni dei loro animali. Dietro compenso, concedevano ai più audaci, l’eroico e beneagurante “abbraccio dell’orso”, tutt’ora praticato, anche nella capitale, tra le popolazioni dell’India.
L’ho scelto come portafortuna per la nostra rivista.
Foto e spunti letterari tratti dalla “Storia naturale della domesticazione”
Juliet Clutton – Brock – Bollati Boringhieri
n. 1 marzo 2025
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